I nostri racconti


venerdì 2 aprile 2010

Benvenuti!



Eccovi finalmente arrivati nel nostro blog!

Come avrete sicuramente già letto nella descrizione, questo blog è dedicato a un gruppo di studenti facenti parte di un progetto scolastico innovativo e unico. Noi siamo tre ragazzi di Vicenza e frequentiamo tutti e tre il liceo scientifico G.B. Quadri. Anticipiamo che neanche noi sappiamo se questo progetto andrà a buon fine, ma siamo sicuri che sarà divertente, stimolante e diverso dalle solite e noiose lezioni di italiano. Non promettiamo di raggiungere livelli lontanamente paragonabili a scrittori famosi ma comunque sarà curioso vedere cosa verrà fuori!

Sarete liberissimi di commentare i prodotti della nostra fantasia con i vostri pareri, positivi o negativi che siano purchè costruttivi e motivati. Qui potrete leggere il nostro o i nostri elaborati, suddivisi in vari "capitoli" (post) che verranno pubblicati con frequenza settimanale (in linea di massima). Ci siamo prefissati l'obbiettivo di arrivare a scrivere più "romanzi" (non saranno certo lunghi come quelli a cui si è abituati a leggere), che possono appartenere a vari stili letterali (romanzi d'avventura, gialli, triller, fantasy ecc...). in alternativa potremo seguire un unico filone svilupppando una storia unica, letta da vari punti di vista. Tutto ciò verrà completato entro la fine di maggio e pubblicato insieme ai romanzi dei nostri compagni di classe.

Sarete liberissimi di esporre i vostri consigli in merito.


Buona lettura a tutti voi "Navigatori del Web"!


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Gioventù bruciata




"...Vedevo dall’alto di Monte Berico il centro vicentino..." _Panorama da Monte Berico_

Era una fresca sera di Maggio, me ne stavo sdraiato sull’erba morbida del cortiletto di casa. Vedevo dall’alto di Monte Berico il centro vicentino tutto illuminato, che spettacolo! Si poteva distinguere chiaramente Piazza Castello, il solito Corso Palladio gremito di giovani che escono con amici e amiche per divertirsi. Si distingueva in lontananza anche qualche paesello dei dintorni.
Si sentiva già il profumo dell’estate alle porte, i miei pensieri mi portavano in piscina a schiamazzare e ridere con gli amici. Ma la cosa che più mi martellava era lei. I suoi capelli mossi color miele, i suoi occhi verdi, intensi e profondi, il suo corpo slanciato e marmoreo. Un sorriso dolce e affettuoso, che ad ogni risata mostrava le sue simpatiche fossette, per non parlare poi della sua carnagione olivastra. Insomma una ragazza non come le decine che ogni giorno costantemente mi facevano la corte, lei era diversa. Non era assillante e gallina, non se la tirava e attirava l’attenzione per un mio fugace sguardo. Il punto era che lei mi piaceva per com’era, non per come mi appariva. Lei era semplice, spontanea, sempre sorridente, viveva la sua vita senza tener conto del giudizio altrui e apprezzando le persone per come sono e non per come vogliono apparire. An si, non vi avevo accennato che si chiamava Camilla ed era in classe con me, 2AST, tecnologico ovviamente, al Quadri, liceo scientifico che in quei due anni mi aveva fatto dannare.
Immerso com’ero nei miei pensieri, non mi accorsi che il cellulare aveva vibrato un paio di volte per segnalarmi l’arrivo di un messaggio. Guardai pigramente lo schermo sperando non fosse la solita gallina che puntualmente alle nove di sera mi scriveva quegli odiosi “Ciao, cm va” oppure “Ciao, cm va? Ke mi racc?!”. Fortunatamente mi sbagliavo. Non era una delle solite, quella volta il numero sembrava non essere salvato in rubrica. Lentamente, quasi in sintonia con la mia contrarietà a leggere l’sms, le parole comparvero chiare e delineate:
“Ciao Riky, devo farti una domanda x domani... ti disturbo? “.


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Interrogazione d'apnea





Era una gelida giornata di dicembre, più precisamente sabato 20 dicembre, ultimo giorno prima delle vacanze, così tanto agognate. Ormai ero in prima al liceo Quadri da quattro mesi e mi ero abituato ai venerdì passati a studiare quegli stra-maledetti appunti di Geografia. Avevamo il professore più infimo, bastardo e soprattutto stronzo della scuola. Pasquale Trogu. Ma il venerdì prima era stato diverso. Trogu seguiva uno schema ben preciso: un giorno interroga, un giorno spiega, un giorno interroga, un giorno spiega, e così è stato per tutto il tempo. La lezione precedente aveva interrogato, quindi era scontato che oggi dicesse i voti agli interrogati e andasse avanti a spiegare, soprattutto prima delle vacanze, in modo tale da darci i compiti. Fattostà che non avevo aperto libro e quindi non ero assolutamente preparata.
Carolina discuteva animatamente con Laura, la mia vicina di banco, durante il movimentato cambio dell’ora. C’era chi nervosamente studiava, secondo me inutilmente, gli appunti del professore, c’era chi rideva, scherzava, c’era chi, come Kristian, urlava le peggiori cose. 'Leo, fidati! Quello oggi fa lo stronzo e interroga, fidati! Non ha il cervello di una persona normale , è una macchina da omicidio studentesco! GODE delle facce spaventate degli interrogati!' mi diceva, anzi urlava dato il casino, sicura di essere nella ragione.
'Ma è impossibile Kri! Non avrebbe senso. Se oggi interrogasse, ci lascerebbe senza nulla da fare nelle vacanze, ed è inconcepibile per un sadico come lui! Credi a me. E poi non PUÒ interrogare, non DEVE interrogare! Non so neanche di cosa si parla! Ieri sono uscito, figurati se dopo un’interrogazione mi metto a studiare'.
'Fossi in te, ripasserei, tanto per non prendere 3'. In effetti, aveva ragione, meglio sapere almeno di cosa si parla.
'Uhm, hai ragione in effetti. Va beh, mi passeresti i tuoi appunti per favore?'. Tirò fuori gli appunti dalla cartella per poi passarmeli. Mentre leggevo a mala voglia inutili dettagli sulle sconosciute popolazioni della regione desertica araba, sentivo il putiferio che imperversava nell’aula e cercavo di non farci caso. La campanella era suonata ormai da circa cinque minuti e tutti cominciavano a sedersi, ordinare i banchi due a due, in file allineate alle piastrelle del pavimento, a mettere sul banco atlante geografico, blocco per gli appunti, penna nera e rossa. Così voleva Trogu, e ogni volta, con molta riluttanza da parte della classe, era così. Quando tutto fu a posto il silenzio era tombale.



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Mai fidarsi dei casa chiesa


CAPITOLO 1

Correva l’anno 1994, anno in cui i preti bevevano ancora, e vecchi amavan sparlare. Il cellulare non era ancora in mano a tutti, ma a sopperire a tal mancanza, ad oggi insostituibile, esisteva un team di vecchiette che funzionava meglio delle staffetta pre-guerra: le “Comare de paese”. Tutto ciò solo a Langora, in Riviera Berica, perché qualche metro più in là, campi e camperse, qualche metro più in qua, l’ ”aggregato urbano” che per qualche cavillo burocratico era anche città, già siamo a Vicenza. Per chi non del posto è, può anche comodamente farsi un’idea del paesello immaginandosi una strada lunga, case intorno, la ciclabile e la chiesa, che non è UNA chiesa ma è LA chiesa. Da far contorno al paesello una media di 101 vecchi su 100 abitanti, insomma, si poteva sentire odor di vecchio ancora alla rotonda della tangenziale.
Detto ciò è facile immaginare la monotonia di tal posto. Prendiamo un Vecchio a caso, alle 7 sette si va a prendere il pane, sempre il solito filone, torna a casa, colazione, partita a briscola al bar della chiesa, accompagnato da una o due ombrette e qualche divina imprecazione. Torna a casa, discute con la moglie, a mezzogiorno in punto, e guai che sia in ritardo, il pranzo. Dopo pranzo sonnellino, che per i bimbi dai nonni diventa momento “casìn”, e poi il pomeriggio ci si sbizzarriva in biciclettate o passeggiate sui colli, col bello e il cattivo tempo. Ecco, rileggete. Avete riletto? Bene, ora focalizzate il tutto e considerate che almeno una cinquantina tra vecchiotti e nonne in carriera, si dileggiano in tal monotonia. Eventi settimanali sono il mercato del giovedì, la messa della domenica e il cineforum del lunedì sera, perché la cena, dopo le 7 in punto non s’ha da fare.
Era una umida e fredda domenica di novembre, classica giornata plumbea, alberi spogli e un debole cinguettio qua e là, forse il richiamo di un piccolo smarrito. Tutto il paese era stipato nella chiesa, uno dei pochi ambienti in cui si poteva stare senza cappotto. La messa proseguiva senza grandi intoppi, ma ancora non si era arrivati al momento dedicato all’ultima cena. Già, bisogna sapere che questo momento era da sempre il più atteso della domenica. No, non certo per motivi religiosi, ma perché lo spettacolo di un prete brillo è imperdibile. Sappiate, carissimi lettori e lettrici che Don Lino, in arte Don Perignon, aveva un bel vizio per il vino. Insomma, ogni domenica non perdeva occasione di riempire per bene il calice e poi scolarlo in un sol sorso. Considerate che la domenica si è a stomaco vuoto e che un calice, non è certo un’ombretta!
Questa però è un’altra storia. Ormai ciò era una normalità, giù a Langora. Il fatto che sconvolse la calma e la monotonia del paese fu davvero insolito e singolare, oltre che blasfemo.
Era appunto una domenica autunnale e tutti nella chiesa non aspettavano altro che tutto finisse per poi rifugiarsi a casa. Come si può immaginare tutti, a parte le comare che avevan da ridire sul prete , erano assai assonnati e disattenti a ciò che accadeva all’interno della chiesa. Tutti tranne il vecchio Ettore, che da prima della scomparsa della sua povera moglie, pace all’anima sua, era diventato più osservante del buon Don Perignon. La messa aveva avuto luogo senza intoppi, a parte qualche indecisione sul cosa dire dovuto alla bocca impastata del Don per una sete un po’ troppo forte. Dopo il rito finale e l’offertorio tutti se ne andarono parlottando tra loro del brutto tempo, della “partìa de ciacole” che si sarebbero fatti al bar ecc. I soliti discorsi insomma. Il prete come sempre si fermava fuori dalla chiesa a chiacchierare con questo o quell’altra delle ultime notizie, aspettando che tutti uscissero. Finalmente uscirono tutti, anche Ettore, che era sempre l’ultimo e il nostro Don se ne poté entrare per cambiarsi e tutto il resto. Perugino, il seminarista della parrocchia stava accendendo un cero, come sua abitudine di domenica. Stranamente il cesto con le offerte della chiesa era sopra l’altare. Perignon che era nel capo opposto della chiesa se ne accorse subito.
“Sa ghe fao là el cestìn? A voria savere chi cavolo lo gà posà la! ma dime ti, sta gente, sarà mia el modo de fare le cose ah! Pfff, santi, dasime la pasiensa che senò a spaco tuto!”
“Cosa ci fa là il cestino? Vorrei sapere chi cavolo lo ha appoggiato là! Ma dimmi te, questa gente, sarà mica il modo di fare cose ah! Pfff, santi, datemi la pazienza sennò rompo tutto!”.