I nostri racconti


martedì 26 gennaio 2010

Capitolo 2


..Sembrava che l’unica figura a colori in quell’immensità di “bianco e nero” di gente che ogni giorno faceva sempre le stesse cose, da chissà quanto tempo, puntualmente immersa nei propri pensieri, fosse ...__ Corso Palladio, Vicenza.

Ed Eccovi il Secondo capitolo.Come sempre i commenti sono accettati di buon grado. Buona lettura a tutti voi!

Il suono graffiante della sveglia mi strappò a forza da un sonno costellato di preoccupazioni, terrore e ansia. Una nottata da schifo insomma. Avevo due borse sotto gli occhi, testimonianza di quello che si poteva tranquillamente definire un sonno passato a lottare contro la propria coscienza non ancora abituata a sopportare simili scelte, il che mi fece pensare di avere ancora una qualche speranza di recuperare e di evitare quell’orrenda decisione. Il pensiero di un votaccio alla fine dell’anno mi faceva scappare dalla solita routine, dai soliti professori e dalla solita e spoglia aula cui ero maledettamente affezionato, per catapultarmi nel presente, dove a ben pochi importa delle motivazioni e dove tutti mirano ai risultati. A fatica ero arrivato al bagno, colpa del male alla schiena che ormai da qualche mese m’indolenziva la mattina. Mi sentivo un vampiro, ero bianco come il latte e non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti, anche se la luce che filtrava dalle serrande era davvero poca. Per far sparire un vampiro ci vuole una pallottola d’argento, ma ero convinto che una doccia sarebbe bastata a eliminare l’apparente trasformazione in un essere maledetto dal destino. L’acqua gelida mi aiutò a riprendermi e rendermi quantomeno presentabile. Mi stavo asciugando quando sentii mamma uscire da casa. Non so il perché ma questo mi aveva fatto scappare un sospiro di sollievo.
Indossai le prime cose che mi capitarono sotto mano e scesi in cucina per prendere un caffè bollente che in quei momenti era l’unica cosa che mi permetteva di connettere qualche neurone con il resto del mondo. Bussai in camera dei genitori per sentire se papà voleva il caffè, ma mi sospirò qualche incomprensibile parola, ancora impastata di sonno, che per esperienza era da interpretare come un “No grazie Riccardo, mi arrangio io dopo!”. Tornai in cucina e preparai il caffè, ascoltando il felice e spensierato canto degli uccelli. La finestra spalancata faceva entrare una leggera brezza che mi accarezzava il viso, facendomi sorridere. Un sorriso dopo tante preoccupazioni. Il profumo del caffè pronto invase la stanza, adoravo quell’odore, mi metteva in pace col mondo. Oggi no però. Dopo il caffè mi accorsi che erano le 7 e 45.
“Le sette e quarantacinque?! Ma com’è possibile? Maledetta sveglia!”.
Se si fosse alzato papà avrebbe sospettato che progettavo qualcosa di losco, poiché a quell’ora sarei stato normalmente già fuori dalla porta . Corsi di sopra in camera, trovai lo zaino buttato dietro alla porta. Ci ficcai dentro una coperta, nel caso fossi finito per sbaglio in un parchetto; portafoglio, un quaderno e qualche penna. Il minimo necessario per la “gitarella fuori programma”. Scesi facendo attenzione di non fare troppo rumore per non insospettire papà, e passai in cucina a prendermi una bottiglietta di acqua per il viaggio in treno.
Uscito da casa presi la bici dal garage, ci salii e partii per Piazza Castello, dove l’avrei lasciata per andare a fare una buona e consistente colazione in uno dei tanti bar del centro.
Avevo appena chiuso la bici col lucchetto ad un palo davanti al negozio “Coìn” quando intravidi quasi per sbaglio, cercando un buon bar, un volto conosciuto. Stavo percorrendo Corso Palladio ormai, avevo appena passato “Zara” ed ero davanti al “bar Italia”. Quasi facevo un colpo. Era lei! “Non ci credo, sto sognando!” pensai. Una ragazza e i suoi capelli color del miele. Camilla. Quel nome mi sembrava poesia, m’isolava da tutto ciò che mi accadeva intorno, dalle centinaia di persone che in quel momento passavano per il centro, dirette chissà dove. Sembrava che l’unica figura a colori in quell’immensità di “bianco e nero” di gente che ogni giorno faceva sempre le stesse cose, da chissà quanto tempo, puntualmente immersa nei propri pensieri, fosse quella ragazza seduta sola al tavolino, con innanzi a se un cappuccino, la sua solita brioche alla marmellata di albicocca (sono certo di non sbagliarmi!) e l’immancabile rivista di moda. Ero immobile, imbambolato ormai da un minuto e, in mezzo a quella miriade di gente in movimento, dovevo sembrare una di quelle persone tutte d’argento che se ne stanno immobili in mezzo a tutti, nella speranza che qualcuno lasci uno spicciolo per far cambiare loro posa. Mi notò, ovviamente, e si girò incuriosita. Quella mattina vestiva in rosso e bianco, colori che sembravano essere stati creati apposta per lei. La camicetta attillata le faceva risaltare i seni e la gonna faceva scorgere le sue bellissime gambe. Mi fece cenno di venire avanti e mi avvicinai attonito ma tremendamente felice, dimenticando ogni brutta cosa, anche il motivo per cui mi trovavo lì in quel momento. Mi accolse con uno splendido sorriso che mi fece arrossire… ero parecchio imbarazzato!
“Il secchione della classe in centro a quest’ora? Come mai?” mi stava guardando con fare dubbioso, il che mi aveva messo un po’ in difficoltà.
“La stessa domanda si potrebbe fare a te, Camy! Come stai?” cercai di sfoggiare il migliore dei miei sorrisi, anche se non deve essere stato un gran che.
“Siediti pure Riky, comunque bene dai. Ovviamente sono un po’ tesa. Avrai capito che ho bruciato, non sapevo un accidente ieri! Piuttosto di non prendere tre alla fine dell’anno ho preferito saltare la verifica e rimandare alla settimana prossima. Ho chiesto a Tommy cosa faceva oggi, e sapendo che è un fan sfegatato di Ligabue, alcune voci dicono che sarebbe andato al concerto di oggi all’Arena di Verona. E così è stato. E quindi indovina?? Oggi si va a Verona con Tommy!”.
Quando sentii il nome di Tommaso, una vena di gelosia mi salì dritta alla testa, nonostante fosse uno dei miei migliori amici. Perché non mi aveva detto nulla?
“Ah Tommy? Strano non mi abbia detto nulla...”.In quel momento arrivò ad interrompermi, precisa come un orologio svizzero, la cameriera. Ogni ragazzo delle superiori che si rispetti la conosceva essendo il Bar Italia un punto di ristoro e ritrovo comune. Lei era presa in giro per il vistoso neo in mezzo alla fronte.
“Posso portarti qualcosa?” disse.
“Uhm... oggi vada per caffè e brioche alla crema, come sempre!”. Si congedò con un sorriso, permettendomi di proseguire.

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