I nostri racconti


domenica 24 gennaio 2010

Capitolo 4


"...Le palpebre erano pesanti come mattoni e tutto sembrava invitarti a dormire, anche il paesaggio che passava veloce dal finestrino..."

La carrozza su cui eravamo saliti era piuttosto vecchia, e si sentiva puzza di chiuso. I nostri posti erano i numeri 15 e 16, cercandoli arrivammo alla cabina numero 3.
“Allora, dal 7 all’11... no, il prossimo. Eccolo qua Camy, è il nostro scompartimento: dal 12 al 17!”.
Aprii a fatica la vecchia porta di legno piena di polvere, sembrava che non fosse passato nessuno a pulire da tanto tempo. Intanto il lungo convoglio in cui eravamo saliti aveva cominciato a muoversi lentamente e in quel momento era uscito dalla stazione di Vicenza incamminandosi per il viaggio. Quando finalmente riuscii ad aprire con difficoltà quella porta mi scostai, lasciando spazio alla ragazza che era al mio fianco.
“Addirittura! Quale onore! Come mai tutte queste attenzioni, non è il mio compleanno!” Avanzò due passi incerti dentro al vecchio scompartimento.
“Ti ho detto di non fare domande. Questa mattina mi sono svegliato di buon umore, ecco tutto. Mamma mia, avrà più del doppio della mia età questa carrozza!” Camilla annuì lentamente mentre sprofondava in uno dei comodi sedili ai lati dello scompartimento, di fianco al finestrino.
Dopo di lei entrai anch’io, testai la comodità dei sedili e poi misi il leggero zaino sul porta bagagli.
“Allora, che si fa mentre non arriviamo a Verona?” Chiesi guardando fuori dal finestrino.
“Mah, io avrei intenzione di leggermi un pochino Vogue e poi boh, non so neanche io. Sinceramente non mi sono organizzata benissimo. Tu?”. Si girò verso di me fissandomi dritto negli occhi. In quel momento la carrozza era deserta, l’unico suono udibile erano le sue ultime parole, quasi sussurrate, e il suono ovattato che proveniva da fuori. Ero perso nei miei pensieri, sognavo ad occhi aperti, ma il suo sguardo interrogativo e insistente mi riportò al presente.
“Io? Non ho niente, questa mattina mi sono fatto lo zaino di fretta perché ero un pochino in ritardo. Adesso guardo cosa esce dal mio cilindro magico”. Mi alzai pigramente dalla comodità del sedile, presi lo zaino e di nuovo mi risedetti. Lo aprii e cominciai a spulciare le varie tasche dello spazioso Eastpack.
“Allora, vediamo cosa offre oggi il bazar. Coperta, rigorosamente nera, nel caso capitassimo in un parco, bottiglietta d’acqua, sete?” Parlavo come una di quelle checchette che fanno le televendite alla tv per signore anziane che se ne stanno a casa tutto il giorno, stile Eminflex o Mondial Casa.
“No grazie riky”. Proseguii nello stesso stile:
“ Poi… portafogli, beh ovvio, e ancora... iPod!? Che ci fa qua dentro? e ancoraaa... Carte da briscola! Olè!” Imitai un'ola fatta da ultras, per poi dileggiarmi in un’imitazione stridula del tifo da stadio.
“Ahahah, scemo!Ti è mai venuto in mente di andare a fare provini per un circo? Saresti perfetto!”. Aveva un’espressione molto divertita dipinta in faccia e questo mi spinse a continuare la piccola scenata.
“Non ancora. Al circo non ho fatto richiesta, questo è vero; in compenso però sono talmente famoso da aver ricevuto l’invito, ovviamente declinato educatamente, da un paio di manicomi. Mi avrebbe fatto piacere rivedere un po’ di lontani parenti”. Espressione e gesti fatti rendevano la cosa comica e buffa. Andai avanti a fare lo stupido per 5 minuti, dopo di ché le idee cominciarono a venir meno e il teatrino chiuse baracca e burattini.
“Parlando di cose un attimo più serie, e meno da venditori di tappeti nelle televendite, come mai il tuo ragazzo non ci ha seguiti?”. Decisi di rompere così il silenzio che ormai da un paio di minuti opprimeva il piccolo spazio, facendo più rumore dello sferragliare delle ruote sulle rotaie. Era il classico silenzio d’imbarazzo che ti opprime e che ti martella dentro. Tanto, troppo.
“Perché non c’è nessun ragazzo, ovviamente. Pensano tutti ad una cosa sola, e non è certo il sentimento. Vogliono tutti Quella e te lo sbattono pure in faccia! Però, dicendola tutta uno che mi piace ci sarebbe. Purtroppo se ne sta sul suo piedistallo tutto d’oro, lassù, solo soletto a guardare la povera gente sotto di lui e a ridersela di gusto”. Le parole potevano sembrare trasudanti di disprezzo e dette con un po’ di amarezza, io invece ci leggevo qualcosa di meglio. Ci leggevo affetto, tanto affetto. Mentre ne aveva parlato le si erano illuminati gli occhi, proprio come se ne fosse innamorata.
“E non mi dici chi è?! No, non puoi, io sono Riccardo, non mi si può nascondere nulla”.
Era vistosamente arrossata alla domanda, un po’ mi sentivo in colpa ma la consapevolezza del fatto che ci fosse un buon motivo per arrossire prese a calci nel fondoschiena il senso di colpa e, come un buttafuori, se lo caricò in spalla e lo gettò in una pozzanghera subito fuori dalla porta sul retro.
Mi guardò dritto negli occhi, fissandoli come se volesse dirmi il nome oggetto del discorso con il pensiero. Proprio quando stava per aprir bocca e confessare, il suo sguardo cadde a terra, inciampando in flebili e impercettibili parole, cercando il nome sul pavimento consumato dal tempo e dai piedi di chissà quanti pendolari. “Non penso proprio troverai il nome scritto qui sotto da qualche parte sai. Tranquilla, se non vuoi dirmelo, non importa, dopotutto sono affari tuoi. Non ho nessun diritto di immischiarmi in faccende che non mi riguardano”. Cercai di essere il meno convincente possibile.
Alzò lentamente lo sguardo verso di me si alzò e poi inaspettatamente mi si siede sulle ginocchia e comincia a baciarmi avidamente. Mi aveva preso in controtempo quando aveva timidamente insinuato la lingua tra le mie labbra. Cominciai ad accarezzarle i capelli morbidi, poi il collo, il suo dolce calore mi cullava.
“Riky, mi ascolti?!” L’immagine si offuscò d’un tratto e come una nuvola di fumo bianco svanì, lasciando spazia alla realtà ed a una Camilla un po’ più in là di prima. Il tutto tra le proteste sonore del pubblico che urlava alla truffa e voleva il rimborso di un biglietto mai pagato minacciando di contattare il titolare.
“Cosa? No scusami, non ti seguo... dicevi?”.
“No è che... Non so neanche io che cosa provo realmente per lui, sto ancora cercando di riordinare le idee. Capisci?”.
“Beh, più o meno è la stessa situazione che sto vivendo anch’io. Lo so, non è il massimo, ma ci vuole la pazienza di riordinare le idee e capire cosa ti gira per la testa”.
Non avendo altro da dirci Camilla continuò a leggere il suo Vogue fino a consumarne le pagine e io tirai fuori l’iPod. Dopo tre canzoni arrivò l’abbiocco. Le palpebre erano pesanti come mattoni e tutto sembrava invitarti a dormire, anche il paesaggio che passava veloce dal finestrino.
“Tu non hai sonno Camy?”. Domandai tra uno sbadiglio e l’altro.
Nessuna risposta.
“Camy!”.
Niente. Così mi alzai a sedere, per poi accorgermi che anche lei doveva essere sull’assonnato, dato che dormiva beatamente come un angioletto con la sua rivista sul grembo.
“Lo prendo come un si”. Cerc

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