I nostri racconti


sabato 23 gennaio 2010

Capitolo 5

Stazione Milano Centrale. Treno 9705 Trenitalia da Venezia Santa Lucia in arrivo al binario 4. ...”_ Binario 4, Stazione Centrale, Milano_

“Stazione Milano Centrale. Treno 9705 Trenitalia da Venezia Santa Lucia in arrivo al binario 4”
La voce secca e spiccia dello speaker mi svegliò tutto d’un colpo.
“Milano? Stazione Centrale? Ma dove cazzo siamo finiti?! Merda… ci siamo addormentati! Camilla!”. Ero agitatissimo, non capivo più nulla. Dovevamo essere a Verona, ed eravamo a Milano! Per fortuna non è passato il controllore dopo Verona, lì si che sarebbero stati cavoli amari!
Le parole ancora impastate di sonno della ragazza mi destarono dalla mia veloce analisi della situazione.
“Che succede Riky? Dove siamo? Che ore sono?”.
“Ci siamo addormentati, siamo a Milano e sono circa le dieci. Insomma, nella merda fino al collo!”.
Lei rimase in silenzio, forse per riattivare il cervello, forse per capire com’era cambiata la situazione. Eravamo a Milano invece che a Verona, erano le dieci e non sapevamo più che accidenti fare.
Dopo che le porte furono aperte, scendemmo con aria confusa, come profughi appena sbarcati da un viaggio lungo ed estenuante. Io personalmente non sapevo che fare. Dopo aver buttato delle occhiate qua e là, trovai l’uscita e mi trascinai dietro la ragazza che sembrava essere in uno stato avanzato di catalessi.
“Beh Riky, siamo nella città della moda, da soli, senza limiti, tu ed io. Direi di darsi alla pazza gioia! E ceste il resto”. Sembrava essersi svegliata appena i primi raggi di sole le illuminarono il viso, un po’ come un fiore ai primi soli primaverili.
“Dai allora! Andiamo! Bene, da quello che mi ricordo dall’ultima volta che sono stato qui, andare in centro a piedi è da suicidio! Direi quindi che è meglio prendere la metropolitana e poi vedere come va”. Controllai di avere il portafogli con abbastanza soldi per shopping, pranzo e ritorno. Stranamente avevo con me il bancomat che mi avevano regalato i miei 6 mesi prima.
“Dovrei avere circa 150 euro cash, più il bancomat”.
“Hai capito il ragazzino! Dovrei uscire con te più spesso accidenti!”.
“Eh, tutto merito delle mancette dei parenti per il compleanno!”.
Eravamo in Piazza Duca D’Aosta, davanti all’uscita della stazione. Di fronte a noi si poteva chiaramente leggere l’insegna della metropolitana.
“Dai, andiamo!”. Le presi la mano e attraversammo la strada di corsa. Scendemmo le scale della metro lentamente, come se ci stessimo inoltrando in qualche posto sconosciuto. La biglietteria era alla nostra destra e dentro al “baracchino” c’era una donna sulla cinquantina con aria assolutamente annoiata, di una che è lì dentro rinchiusa dalle sei di mattina e non aspetta altro che uscire a fumarsi una sigaretta.
“Buon giorno signora, due giornalieri per studenti per favore”.Cercai di essere il più gentile e autoritario possibile.
“We bimbino! Ho quarant’anni, mica settanta! E poi, cosa pensi di essere il più bello di tutti che vuoi lo sconto per studenti? Non siamo mica a casa tua, adesso paghi la tariffa intera o te ne vai in giro a piedi! Tiene bimbetto, due giornalieri, sono 6 euro”. L’educazione e il buon umore della “quarantenne” mi fecero piacere come un calcio nel fondo schiena. Contai fino a dieci per controllarmi, ma l’unico risultato fu quello di far venir in mente altri insulti.
“Grazia mille SIGNORA, buona giornata!” Digrignai a denti stretti per non far scappare inutili insulti, ci scambiammo due occhiatacce e buttai lì sette euro, senza neanche aspettare il resto. Ce ne andammo e dopo aver passato i cancelletti, ci fermammo davanti a una mappa della metro. Discutemmo qualche secondo sulla destinazione, per poi decidere unanimemente per il Duomo.
“Allora, vediamo… Per Piazza Duomo dovrebbe essere, si, la linea gialla. 1, 2, 3… quarta fermata. Ok?”.
“Si si, a postissimo. Sei meglio di un navigatore. Aspetta, gli orari. Allora… la prossima corsa dovrebbe passare tra... ADESSO! Corri corri corri! La perdiamo sennò!”.
Erano le 10 e 16 minuti. Correvamo come forsennati giù per gli stretti scalini dei corridoi per arrivare al binario giusto. Era proprio una giornataccia. La mattina avevamo rischiato di perdere il treno, poi ci eravamo addormentati, e la poi la metro, non era possibile.
“La sai la direzione almeno? Hai guardato spero!”.
“Allora, non mi ricordo! Una è per S. Donato e l’altra per Maciachini…”.
“S. Donato, sono sicuro. Dai svelta, per di qua”.
Arrivati nel tunnel della fermata, ci accorgemmo con conforto che era un po’ in ritardo e mancava ancora circa un minuto all’arrivo.
“Per fortuna è in ritardo, non avevo proprio voglia di aspettare fino alla corsa successiva! Dai sediamoci che sono stanca morta”. Ancora stava parlando che lo stridere dei freni annunciò l’arrivo della metro.
“Ok come non detto. Dai entriamo Riky” mi cinse i fianchi con timidezza. Ero impietrito, il cuore che ballava la salsa mi faceva mancare il fiato. Con la stessa delicatezza di una rosa le passai il braccio intorno alla vita ed entrammo nella carrozza.
Essendo le 10 e 20, minuto più minuto meno, era completamente vuota, salvo qualche anziana signora o qualche asiatico che armeggiava con la macchina fotografica e la guida della città.
Ci sedemmo sui duri sedili del metrò, ma che dopo la cavalcata per arrivare in tempo sembravano comodissimi. Avevamo circa 20 minuti di tragitto per arrivare a destinazione quindi tirai fuori dallo zaino l’iPod e, porgendo una cuffietta alla mia compagnia di viaggio, cercai qualche canzone che piacesse a entrambi.
“Senti questa!” bisbigliai, lei indossò la cuffietta e cominciò a canticchiare Fix You, ovviamente dei Coldplay. Sapevo benissimo che era la sua canzone preferita, insieme a tutte le altre del gruppo britannico. I 20 minuti di viaggio passarono velocissimi, forse per le canzoni che ascoltavamo insieme, o forse per i viaggi mentali che mi facevo. Tra un brano e l’altro avevo tenuto il conto delle fermate, ovviamente al fine di evitare il ripetersi di sgraditi eventi. Viaggiavamo veloci tra i tunnel e lo sferragliare faceva da sfondo, coprendo la melodia della musica, ridotta quasi ad un bisbiglio. Di colpo la metro iniziò a frenare. Feci un leggero cenno alla mia compagna di viaggio che alzò la testa lentamente, che aveva capito. L’atmosfera era quieta e rilassata, quasi la calma prima della tempesta. Tutto si muoveva lentamente: la vecchietta davanti a noi che si leggeva “Donna Moderna”, l’asiatico rintanato nell’angolo in fondo che maneggiava con nervosismo la macchina fotografica e un ragazzo in giacca e cravatta salito la fermata precedente che si leggeva in tutta tranquillità un libro di Grisham. Ci fermammo e le porte si aprirono. Camilla mi porse la cuffietta, la presi e misi tutto nello zaino nero. Questa volta fui io a prendere l’iniziativa e le cinsi i fianchi perfetti. Ci avevo pensato sopra tutto il viaggio e finalmente avevo trovato il coraggio.
Mi guardò sorridendo e poi uscimmo dalla fermata in silenzio. Finalmente salimmo in superficie e il sole un po’ ci abbagliò.

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