I nostri racconti


domenica 10 gennaio 2010

Mai fidarsi dei casa chiesa

CAPITOLO 1



Correva l’anno 1994, anno in cui i preti bevevano ancora, e vecchi amavan sparlare. Il cellulare non era ancora in mano a tutti, ma a sopperire a tal mancanza, ad oggi insostituibile, esisteva un team di vecchiette che funzionava meglio delle staffetta pre-guerra: le “Comare de paese”. Tutto ciò solo a Langora, in Riviera Berica, perché qualche metro più in là, campi e camperse, qualche metro più in qua, l’ ”aggregato urbano” che per qualche cavillo burocratico era anche città, già siamo a Vicenza. Per chi non del posto è, può anche comodamente farsi un’idea del paesello immaginandosi una strada lunga, case intorno, la ciclabile e la chiesa, che non è UNA chiesa ma è LA chiesa. Da far contorno al paesello una media di 101 vecchi su 100 abitanti, insomma, si poteva sentire odor di vecchio ancora alla rotonda della tangenziale.
Detto ciò è facile immaginare la monotonia di tal posto. Prendiamo un Vecchio a caso, alle 7 sette si va a prendere il pane, sempre il solito filone, torna a casa, colazione, partita a briscola al bar della chiesa, accompagnato da una o due ombrette e qualche divina imprecazione. Torna a casa, discute con la moglie, a mezzogiorno in punto, e guai che sia in ritardo, il pranzo. Dopo pranzo sonnellino, che per i bimbi dai nonni diventa momento “casìn”, e poi il pomeriggio ci si sbizzarriva in biciclettate o passeggiate sui colli, col bello e il cattivo tempo. Ecco, rileggete. Avete riletto? Bene, ora focalizzate il tutto e considerate che almeno una cinquantina tra vecchiotti e nonne in carriera, si dileggiano in tal monotonia. Eventi settimanali sono il mercato del giovedì, la messa della domenica e il cineforum del lunedì sera, perché la cena, dopo le 7 in punto non s’ha da fare.
Era una umida e fredda domenica di novembre, classica giornata plumbea, alberi spogli e un debole cinguettio qua e là, forse il richiamo di un piccolo smarrito. Tutto il paese era stipato nella chiesa, uno dei pochi ambienti in cui si poteva stare senza cappotto. La messa proseguiva senza grandi intoppi, ma ancora non si era arrivati al momento dedicato all’ultima cena. Già, bisogna sapere che questo momento era da sempre il più atteso della domenica. No, non certo per motivi religiosi, ma perché lo spettacolo di un prete brillo è imperdibile. Sappiate, carissimi lettori e lettrici che Don Lino, in arte Don Perignon, aveva un bel vizio per il vino. Insomma, ogni domenica non perdeva occasione di riempire per bene il calice e poi scolarlo in un sol sorso. Considerate che la domenica si è a stomaco vuoto e che un calice, non è certo un’ombretta!
Questa però è un’altra storia. Ormai ciò era una normalità, giù a Langora. Il fatto che sconvolse la calma e la monotonia del paese fu davvero insolito e singolare, oltre che blasfemo.
Era appunto una domenica autunnale e tutti nella chiesa non aspettavano altro che tutto finisse per poi rifugiarsi a casa. Come si può immaginare tutti, a parte le comare che avevan da ridire sul prete , erano assai assonnati e disattenti a ciò che accadeva all’interno della chiesa. Tutti tranne il vecchio Ettore, che da prima della scomparsa della sua povera moglie, pace all’anima sua, era diventato più osservante del buon Don Perignon. La messa aveva avuto luogo senza intoppi, a parte qualche indecisione sul cosa dire dovuto alla bocca impastata del Don per una sete un po’ troppo forte. Dopo il rito finale e l’offertorio tutti se ne andarono parlottando tra loro del brutto tempo, della “partìa de ciacole” che si sarebbero fatti al bar ecc. I soliti discorsi insomma. Il prete come sempre si fermava fuori dalla chiesa a chiacchierare con questo o quell’altra delle ultime notizie, aspettando che tutti uscissero. Finalmente uscirono tutti, anche Ettore, che era sempre l’ultimo e il nostro Don se ne poté entrare per cambiarsi e tutto il resto. Perugino, il seminarista della parrocchia stava accendendo un cero, come sua abitudine di domenica. Stranamente il cesto con le offerte della chiesa era sopra l’altare. Perignon che era nel capo opposto della chiesa se ne accorse subito.
“Sa ghe fao là el cestìn? A voria savere chi cavolo lo gà posà la! ma dime ti, sta gente, sarà mia el modo de fare le cose ah! Pfff, santi, dasime la pasiensa che senò a spaco tuto!”
“Cosa ci fa là il cestino? Vorrei sapere chi cavolo lo ha appoggiato là! Ma dimmi te, questa gente, sarà mica il modo di fare cose ah! Pfff, santi, datemi la pazienza sennò rompo tutto!”.
Disse il povero padre che continuava a dire, ogni santa messa, che il cesto andava messo sul tavolo in canonica di modo che la gente non potesse prendere le offerte. Si diresse sbuffando verso l’altare per riporre le offerte al loro posto, contare il ricavato e annotarlo nel libretto rosso della “contabilità”. Più si avvicinava e più si sentiva strano, come se avesse un brutto presentimento. Finalmente arrivò all’altare e prese il cesto in mano, senza neanche degnarlo di uno sguardo, furioso com’era. Quando lo alzò però gli parve leggero, quasi inconsistente. Un brivido gli scosse la vecchia e dolorante schiena, glaciale, un pensiero gli fulminò la testa, lasciando un’idea che poco a poco prendeva consistenza, sempre maggiore, e sempre più brutta.
“Ma vuto vedare che...”
“Ma vuoi vedere che...”
Non fece a tempo a finire la frase che vide la cosa più brutta della sua vita, peggio anche della perpetua Giuseppina sotto la doccia che canticchia “Nel blu dipinto di blu” di D. Modugno. Il cesto era vuoto, tutte le offerte erano completamente scomparse, volatilizzate. Eppure era certo che il cestino era pieno, proprio perché era un evento eccezionale, tirchi com’erano i vecchi della comunità.
“No ghe poso credare!! Oh santa la madonna e il suo figliolo Gesù Cristo salvatore che tanto ha dato. Salvatore mio Dio perdona colui che ha profanato la tua sacra casa. Ave Maria piena di grazia...”
“Non ci posso Credere!! Oh santa la madonna e il suo figliolo Gesù Cristo salvatore che tanto ha dato. Salvatore mio Dio perdona colui che ha profanato la tua sacra casa. Ave Maria piena di grazia...”.
Poi tutto divenne sfuocato, tremolante e il povero Don svenne, accasciandosi sugli scalini davanti all’altare.

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