I nostri racconti


giovedì 28 gennaio 2010

Capitolo 1

Gioventù Bruciata


"...Vedevo dall’alto di Monte Berico il centro vicentino..." _Panorama da Monte Berico_

Era una fresca sera di Maggio, me ne stavo sdraiato sull’erba morbida del cortiletto di casa. Vedevo dall’alto di Monte Berico il centro vicentino tutto illuminato, che spettacolo! Si poteva distinguere chiaramente Piazza Castello, il solito Corso Palladio gremito di giovani che escono con amici e amiche per divertirsi. Si distingueva in lontananza anche qualche paesello dei dintorni.
Si sentiva già il profumo dell’estate alle porte, i miei pensieri mi portavano in piscina a schiamazzare e ridere con gli amici. Ma la cosa che più mi martellava era lei. I suoi capelli mossi color miele, i suoi occhi verdi, intensi e profondi, il suo corpo slanciato e marmoreo. Un sorriso dolce e affettuoso, che ad ogni risata mostrava le sue simpatiche fossette, per non parlare poi della sua carnagione olivastra. Insomma una ragazza non come le decine che ogni giorno costantemente mi facevano la corte, lei era diversa. Non era assillante e gallina, non se la tirava e attirava l’attenzione per un mio fugace sguardo. Il punto era che lei mi piaceva per com’era, non per come mi appariva. Lei era semplice, spontanea, sempre sorridente, viveva la sua vita senza tener conto del giudizio altrui e apprezzando le persone per come sono e non per come vogliono apparire. An si, non vi avevo accennato che si chiamava Camilla ed era in classe con me, 2AST, tecnologico ovviamente, al Quadri, liceo scientifico che in quei due anni mi aveva fatto dannare.
Immerso com’ero nei miei pensieri, non mi accorsi che il cellulare aveva vibrato un paio di volte per segnalarmi l’arrivo di un messaggio. Guardai pigramente lo schermo sperando non fosse la solita gallina che puntualmente alle nove di sera mi scriveva quegli odiosi “Ciao, cm va” oppure “Ciao, cm va? Ke mi racc?!”. Fortunatamente mi sbagliavo. Non era una delle solite, quella volta il numero sembrava non essere salvato in rubrica. Lentamente, quasi in sintonia con la mia contrarietà a leggere l’sms, le parole comparvero chiare e delineate:
“Ciao Riky, devo farti una domanda x domani... ti disturbo? “.
Rimasi interdetto, non riuscivo a capire chi potesse essere il mittente. Prima di rispondere decisi di controllare in rubrica, non era la prima volta che il cellulare mi faceva uno scherzetto del genere. Quando digitai il numero per vedere chi era il mio cuore saltò un battito per poi cominciare a martellarmi nel petto, in preda all’eccitamento. Il numero era sotto la voce Camy. La mia Camy.
Subito le risposi di sì e passai i tre minuti più lunghi della mia vita, passati a pensare alle mille possibili ragioni che l’avessero potuta spingere a scrivermi. La sua risposta mi aveva destato dai miei mille pensieri.
“ Allora, sei riuscito a studiare tutto x la verifica di storia di domani? Io giuro che non mi ricordo già nulla... specialmente la parte sulle crociate! Sono nel panico, tu come sei messo?”.
Sussurrai un’imprecazione rivolta più che altro al pomeriggio passato davanti al computer. Accidenti a me, mi ero completamente scordato della verifica di storia! Volevo urlare ma non sarebbe certo servito a rimandare il compito, volevo ritornare indietro nel tempo, ma non si poteva.
“Basta, adesso devo mettermi d’impegno. Da domani si studia almeno un’ora al giorno; anzi, meglio iniziare per gradi, facciamo trenta minuti con sosta ogni quindici per ristorarsi. Uffa! Perché sono così stupido?!” Mi sfuggì un sorriso, ma mi costrinsi a ricacciarlo indietro e escogitare un modo per rimediare alla grande stupidaggine. Mai un messaggio di Camilla mi aveva messo un’ansia simile. Camminai verso la mia camera pensando a un modo per risolvere il problema. Di mettersi a studiare ora non se ne parlava minimamente; ormai erano le nove e mezza passate e non sarei riuscito a ricordare neanche la prima cifra di una data, anche se ovvia. Un’idea mi aveva fulminato la mente, con tutta la forza di volontà e la poca dignità rimastami mi sforzavo di spingerla in un angolo, in attesa che morisse di solitudine, ma le altre uguali erano ormai troppe e organizzarono una rivolta. L’idea di marinare, o come dicono tutti “bruciare”, era più che allettante, direi ovvia. Un’idea veloce, indolore, non lascia tracce, sicuramente migliore di una nottata passata sul letto a imparare la storia di gente morta e sepolta secoli prima. Avevo pochissimo tempo per organizzare il tutto. Per prima cosa la meta. Non se ne parlava neanche lontanamente di restare a Vicenza, troppo pericoloso e scontato.
“VENEZIA!”. Quasi l’avevo urlato perché mia mamma mi sentì e mi chiese perplessa di ripetere. Dovevo averlo urlato per davvero, dato che lei era al piano di sotto. Come raggiungere la meta di quella “gitarella non programmata” era cosa ovvia. Il treno sarebbe stato la mia limousine per una salvezza apparente, per una catastrofe rimandata. Accesi il computer per vedere orari del treno e se c’era qualcosa d’interessante da fare durante la mattinata. Avevo navigato per un’ora buona in cerca di qualche evento, mostra, concerto o qualcosa del genere, trovai qualche spettacolo e un paio di mostre, ma niente di superlativo. L’orario di partenza più prossimo all’inizio delle lezioni era quello delle 8.40.
“Vorrà dire che me ne starò un po’ in stazione a bighellonare... ma si dai, al limite colazione in piazza e poi in stazione ad aspettare un treno sicuramente in ritardo”. Mentre formulavo questo pensiero mia mamma entrava in camera. Ero nel più completo panico. Cercando di essere il più naturale possibile chiusi la pagina web e le chiesi il motivo dell’improvvisa irruzione, senza neanche degnarla di uno sguardo per non tradire la mia evidente tensione. Potevo sentire ogni battito del mio cuore, il suono del mio respiro, il frusciare degli alberi sotto la leggera brezza serale.
“Va a letto Riccardo che è tardi. Hai qualche compito domani per caso?”. Per un attimo tutto tacque, anche il vento aveva smesso di soffiare lasciando la stanza in un irreale silenzio. Continuavo a guardare lo schermo del computer, cercando di mascherare la tensione. “ No, normalissima e noiosissima giornata domani, come ogni giorno fino ad oggi d’altra parte”. Le parole mi erano uscite tutte d’un fiato, troppo velocemente. Mi morsi il labbro per aver compiuto questo errore, sicuro che lei avrebbe capito che mentivo spudoratamente. Andava sempre a finire così, quella donna riusciva a capire se mentivo in qualsiasi occasione, era irritante. Rimasi del tutto colpito di quello che successe dopo: mi si era avvicinata con fare minaccioso, come se avesse l’intenzione di tirarmi un ceffone memorabile, ma così non fu. Si abbassò piano e mi schioccò un bacio ridendo, sapendo benissimo che a me non piaceva quando faceva così. Fui enormemente sollevato e incuriosito allo stesso tempo da quel raro comportamento, solitamente riservato a qualche nove in matematica o al mio compleanno. La guardai dritta negli occhi, vi leggevo tenerezza e affetto, ero sul punto di confessare tutto, di implorare perdono, promettendo che non sarebbe più successo. No! Riuscii a trattenermi, a tacere e ricambiare lo sguardo; ma dentro mi sentivo un verme, sarei voluto sparire e riapparire ventiquattro ore dopo, quando tutto sarebbe finito.
“Vai a letto dai che è tardi, domani ti aspetta una giornata piena”. La voce femminile che veniva dal corridoio mi ricordò che erano le undici meno un quarto e che se l’indomani volevo svegliarmi alle sette era meglio andare a letto. Mi cambiai lentamente pensando al giorno che mi aspettava con preoccupazione. Ero teso come una corda di violino, avrei voluto piangere, ma non era il momento. Mi addormentai dopo una buona mezz’ora. Sprofondai in un sonno pieno d’angoscia, tutt’altro che riposante, tutt’altro che piacevole.


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